ANDREA MARTIRADONNA

Interviste ai fotografi di architettura | 2

DL: Cosa è per lei la fotografia di architettura? Come è iniziato il suo percorso come fotografo di architettura?

AM: Per me la fotografia è un modo espressivo per ri-scrivere la realtà e il mezzo fotografico non è altro che uno strumento al pari della matita, del computer, del pennello o dello scalpello. Per quanto riguarda la fotografia di architettura, ma questo vale anche in generale, possiamo individuare due filoni: quello prettamente commerciale e quello artistico personale; ci sono comunque fotografi che riescono a coniugare questi due aspetti. Durante il terzo e quarto anno del mio percorso di studi in architettura avevo seguito un corso di fotografia, il docente del corso era un fotografo di moda, ma era riuscito a trasmettere a me e ad altri miei compagni la passione per il suo lavoro e fu lì che capìì che potevo fare della fotografia una professione. Il mio primo lavoro con la fotografia di architettura posso considerarlo un avvenimento fortunato: mi stavo laureando e mi arrivò una chiamata da Italo Lupi, che era all’epoca il direttore di Abitare, aveva visto una mia mostra e mi chiese
di passare dalla redazione poichè aveva una commissione; mi laureai e il giorno dopo ero già sopra ad un treno per andare a fotografare la stazione di Montecatini per Abitare.

DL: La fotografia di architettura necessita di determinati strumenti che risultano essere più adatti rispetto ad altri: quando si fotografa un edificio o un interno è l’oggetto architettonico che ci suggerisce quale attrezzatura utilizzare o delle volte è lo spazio a doversi adattare al modo in cui il fotografo vuole ritrarlo?

AM: Ho un rapporto poco reverenziale con gli oggetti che uso. Quando mi commissionano un lavoro il mio obiettivo è consegnare un certo numero di fotografie che descrivano completamente il progetto di architettura: se siamo nella sfera della fotografia commerciale parto sempre dal capire quali sono le esigenze del cliente e scelgo di conseguenza gli strumenti più adatti per realizzare le immagini che mi sono state richieste. Prefigurarsi l’utilizzo di un certo strumento per rappresentare lo spazio entra più nell’ottica della fotografia artistica.

DL: 
Viviamo nell’era digitale, quanto conta oggi l’autenticità di un’immagine di architettura? Non crede che tale, presunta, autenticità possa essere sacrificata per avvalorare il messaggio che un fotografo vuole trasmettere attraverso una mirata fase di post-produzione?

AM: Io sono uno di quei fotografi che ha vissuto il passaggio da analogico a digitale; avevo fatto una tesi di laurea sulla gestione delle immagini al computer e sapevo usare Photoshop, ma i primi tre anni di digitale sono stati difficili: passavo da realizzare fotografie con il banco ottico che avevano una qualità molto alta ai files delle prime macchine digitali. In pellicola il controllo è limitato, non è come con il digitale che vedi sempre il risultato di quello che fai. Il mio rapporto con la post-produzione segue coerentemente l’approccio con il mezzo fotografico: attraverso il computer applico alla mia fotografia tutte quelle modifiche che ritengo necessarie per raggiungere l’obiettivo, non ho alcun problema a sostituire un cielo troppo monotono o ad aggiungere alla scena persone dove lo ritengo necessario.

DL: Ha dei consigli da dare a chi vuole fare il fotografo di architettura?

AM: 
Dopo il primo servizio per Abitare per dieci anni di carriera ho fotografato di tutto, da immagini per cataloghi a quelle per alcuni showroom. Il mio consiglio ad un giovane che vuole diventare fotografo di architettura è quello di non risparmiarsi, di scattare, sistemare al meglio la fotografia e di passare al prossimo lavoro; non bisogna soffermarsi troppo su ogni singola cosa che si fa sennò si perde tempo. Se non si hanno commissioni si esce e si fotografa per noi stessi. Quindi il mio consiglio è non tanto di tipo tecnico quanto quello di provare, di fare e di scontrarsi con quei problemi che ti consentiranno di fare dei passi in avanti e soprattutto di non pensare che per raggiungere un certo obiettivo servano determinati strumenti, quel che conta prima di tutto è avere un’idea.

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ANDREA MARTIRADONNA
Si laurea al Politecnico di Milano con una tesi sull’archiviazione ed elaborazione elettronica di immagini di architettura. Per lui la fotografia è un modo espressivo per ri-scrivere la realtà e il mezzo fotografico non è altro che uno strumento al pari della matita, del computer, del pennello o dello scalpello. 

Estratto dalla Tesi di Laurea
“Raccontare il progetto di architettura attraverso la fotografia: lo showroom Luce di Carrara”.
Anno: 2021.
Fotografia: 
Erba | ifdesign © Andrea Martiradonna