MARCO INTROINI

Interviste ai fotografi di architettura | 3

DL: Cosa è per lei la fotografia di architettura? Come è iniziato il suo percorso come fotografo di architettura?

MI: Il mio rapporto con la fotografia è nato in università, ho fatto la prima parte di studi a Venezia e per gli esami di Storia I e II dovevamo preparare un book di disegni e fotografie della parte monografica del corso tenuto da Manfredo Tafuri e Giorgio Ciucci: il mio avvicinamento è stato più per obbligo che per piacere, la mia vera passione era il disegno. Ho avuto la fortuna di conoscere Gabriele Basilico quando ero al liceo, poiché mio padre, architetto, si faceva fotografare i progetti da lui. In quel periodo non ero interessato alla fotografia ma mi ha trasmesso la sua grande passione per il suo lavoro. Poi mi sono laureato in architettura con una tesi in progettazione e ho approfondito sempre di più il disegno e quindi la fotografia. Quando mi sono laureato con Antonio Monestiroli, lui stava finendo il Cimitero di Voghera e decisi di fare alcune fotografie: gli piacquero molto e le mandò ad una rivista, da lì è iniziato il mio rapporto con quel mondo. Nel 1999 ho vinto il premio nazionale Lombardia Effetto Paesaggio con una ricerca sulle architetture sull’argine del Po e questo ha sancito il primo incontro con la sfera dei critici. Successivamente ho vinto altri concorsi e ho avuto modo di fare un libro sulle Langhe. Questo è stato l’inizio del mio percorso e per me la fotografia altro non è che un modo per rappresentare l’architettura e il paesaggio.

DL: Quanto è importante per un fotografo di architettura il bagaglio culturale? La conoscenza del lavoro dei fotografi del passato e delle tendenze odierne può influire sul lavoro di un fotografo di architettura?

MI: Facciamo un passo indietro, io sono un grande appassionato del disegno ma anche di storia della rappresentazione, dalla pittura all’incisione, alla scenografia soprattutto e questo è importante perché mi ha dato le basi compositive dell’immagine e anche una certa sensibilità nel posizionarmi velocemente con il treppiede. La storia della rappresentazione è stata una grande scuola per me, quando inizio i corsi, ai miei studenti non faccio mai vedere fotografie inizialmente ma parto dalla rappresentazione, dalla storia. E’ importante capire cosa è stato fatto prima e dove si vuole andare, costruire un linguaggio, il quale si evolve con più o meno evidenza e velocità. L’esperienza e quello che vediamo influisce sull’evoluzione del fotografo, io lo noto non tanto sul modo di inquadrare, ma quando lavoro sulle stampe, quando vedo quelle di dieci anni fa non mi ci ritrovo e allora riprendo in mano il file e rielaboro tutto.


DL: 
E’ corretto dividere, a seconda degli intenti, la fotografia di architettura in documentaria o artistica? E’ così netta questa divisione?

MI: Penso che questa divisione possa essere corretta ma che non sia così netta. Io, ad esempio, non ho uno sguardo differente quando lavoro per una rivista o per un progetto di ricerca personale. Per alcuni fotografi questi due intenti coincidono, forse meno nei giovani che all’inizio hanno un linguaggio più codificato da rivista; una volta affermati però questo aspetto viene meno. Forse la differenza più grande è che le riviste preferiscono quasi sempre l’uso del colore e immagini più asettiche e codificate, anche se alcune accettano progetti e ricerche più personali. Poi ci sono lavori di alcuni fotografi in cui l’architettura è un incidente e viene utilizzata per realizzare composizioni più grafiche attraverso l’uso delle linee e della geometria: l’architettura in questo caso non è descritta in alcun modo, o per lo meno non è questo l’intento, ma viene utilizzata per un messaggio altro.

DL: Ha dei consigli da dare a chi vuole fare il fotografo di architettura?

MI: 
Non smettere mai di studiare e di essere curiosi, visitare mostre, capire come sono fatti i libri, smontarli e vedere come si susseguono le immagini. Lavorare sulla costruzione di un metodo con cui lavorare ai progetti. Non essere invidioso del lavoro degli altri ma capire perché quel lavoro ti genera invidia, capirne la sensibilità e osservare i lavori dei fotografi più affermati. Determinazione e passione riescono sempre a vincere e non bisogna preoccuparsi di prendere delle porte in faccia.

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MARCO INTROINI
Iscritto all’albo degli architetti, è un fotografo documentarista di architettura e di paesaggio. Insegna fotografia e rappresentazione dell’architettura al Politecnico
di Milano. Appassionato al disegno e alla scenografia, per lui la fotografia altro non è che un metodo di rappresentazione. Nel suo lavoro preferisce l’uso del bianco e nero.

Estratto dalla Tesi di Laurea
“Raccontare il progetto di architettura attraverso la fotografia: lo showroom Luce di Carrara”.
Anno: 2021.
Fotografia: 
Duomo di Milano © Marco Introini